La Comunità Montana di Valle Camonica – Parco dell’Adamello, unitamente al Distretto Culturale di Valle Camonica e Sapori di Valle Camonica, presentano la Fiera della Sostenibilità della Natura Alpina: una manifestazione itinerante giunta alla sua 7° edizione. Un’occasione per parlare di sostenibilità nelle Alpi e continuare il percorso intrapreso nell’edizione 2012, declinando questo termine secondo i tre parametri che la devono caratterizzare: ambiente, società, economia.
Alla base delle esplorazioni del Parco Adamello e dei suoi partners vi sono i principi fondanti che già nel 2012 avevano ispirato il cammino sulla sostenibilità: infatti, “Sostenere“significa tenere qualcosa o qualcuno sollevati sopportandone il peso e significa anche rinforzare, aiutare, difendere e dare appoggio, accudire e nutrire. Viceversa, “Consumare” significa ridurre al nulla e finire un bene con l’uso, logorare, dissipare, sfruttare.
Sono consultabili i documenti frutto della ricerca effettuata dal Gruppo Anfibi delle Guardie Ecologiche Volontarie (GEV) di Valle Camonica.
La finalità del progetto "Anfibi a Capo di Ponte" è l’attuazione di interventi di conservazione in grado di contribuire nell’immediato alla conservazione delle stazioni di presenza delle specie più minacciate e la realizzazione di iniziative finalizzate all’incremento della conoscenza, della sensibilità e del rispetto verso quei gruppi faunistici, tra cui gli Anfibi, tradizionalmente ritenuti “minori”, con lo scopo di rendere sempre più note, incrementare la consistenza delle popolazioni anfibie, salvaguardarle il più possibile e rendere condivise nella popolazione le ragioni di una loro più attenta gestione e di una loro attiva e scrupolosa conservazione.
Il gambero d’acqua dolce era segnalato, fino ad alcuni anni fa, in numerosi torrenti del Parco oltre che nel fiume Oglio. Oggi la sua presenza è sporadica e limitata ad alcune vallate dell’area protetta (Comuni di Sonico, Malonno, Berzo Demo, Niardo, Breno).
Tra le principali cause che hanno determinato la rarefazione dell’Austropotamobius pallipes italicus nel Parco, si possono citare lo sfruttamento a fini idroelettrici di numerosi torrenti, con drastiche diminuzioni di portata in alveo e conseguente depauperamento della funzionalità ecosistemica dei torrenti captati, la semina incontrollata di ittiofauna nei corsi d’acqua oltre che, ovviamente, al bracconaggio.
Nel fondovalle della Valle Camonica il gambero autoctono, un tempo molto diffuso lungo tutta l’asta del fiume Oglio, è oggi segnalato solo in sporadiche località.
Il gambero d’acqua dolce è un Crostaceo appartenente alla Famiglia degli Astacidae. L’unica specie autoctona in Italia è Austropotamobius pallipes, con la sottospecie A. p. italicus Faxon. La sottospecie A. p. pallipes Ler. è invece presente in Corsica, Svizzera e Francia. Il Piemonte e la Liguria segnano il confine geografico tra le due sottospecie.
Il gambero di fiume ha un colore bruno-verdastro, può raggiungere i 12 centimetri di lunghezza e il peso massimo di 90 grammi.
Gli accoppiamenti avvengono in autunno, la schiusa delle uova in primavera. Le larve, che si accrescono per sviluppo diretto, nel primo anno di vita subiscono 5-6 mute, durante le quali l’esoscheletro chitinoso viene abbandonato per alcuni giorni per consentire l’accrescimento corporeo del crostaceo. Nell’adulto l’ecdisi avviene, di norma, una sola volta all’anno. Il gambero di fiume ha abitudini prevalentemente notturne ed è onnivoro, cibandosi di insetti, larve di anfibi e pesci, anellidi, molluschi, vegetali acquatici e detriti organici. I principali predatori della specie sono le arvicole e i pesci (salmonidi).
Il suo habitat ideale coincide con i corsi d’acqua montani, freschi e di elevata qualità ambientale, non troppo turbolenti, ben ossigenati e con temperature massime dell’acqua pari a 20-22 °C. Il pH ideale va dalla neutralità (pH 7) a pH 8; molto importante, per la creazione dell’esoscheletro, è la presenza di una certa concentrazione di sali di calcio.
Il gambero di fiume è stato inserito da parte della IUCN nel “libro rosso” degli Invertebrati, a causa della sua rarità. Il crostaceo ha infatti subìto, negli ultimi decenni, una drastica diminuzione delle consistenze, causata da due principali fattori: l’inquinamento idrico e la diffusione di una patologia causata dal micete Aphanomyces astaci, originario degli Stati Uniti.
A differenza dei gamberi di origine americana, quelli europei si sono trovati indifesi di fronte agli attacchi della malattia, che li ha letteralmente decimati. Inoltre, grazie alla maggiore resistenza e all’elevato tasso di fertilità delle specie alloctone, queste ultime sono state, per motivazioni prevalentemente economiche, sconsideratamente introdotte in numerosi corpi d’acqua italiani, aggravando ulteriormente la già precaria situazione del gambero autoctono.
Gli interventi previsti hanno la finalità di ricostituire all’interno del Parco Adamello, piccole popolazioni autonome di Austropotamobius pallipes in alcuni corsi d’acqua provvisti delle caratteristiche ecologiche e chimico-fisiche idonee alla specie e fatta salva una verifica delle cause di scomparsa del crostaceo nelle aree in cui si é prevista l’azione di ricostituzione della specie.
Gli interventi di ricostituzione di popolazioni di Gambero d’acqua dolce all’interno del Parco Adamello si sono svolti secondo le seguenti fasi:
Nel settembre 2000, grazie alla disponibilità del titolare della “Troticoltura Viola” di Malonno, sono stati catturati oltre 250 gamberi (nati nel 2000, nel 1999, subadulti e adulti), liberati nella notte in alcuni corsi d’acqua vocati all’interno del Parco. Alle fasi salienti, oltre a personale dell’area protetta e ad alcuni professionisti specializzati nel settore, hanno partecipato con interesse guardiacaccia provinciali e guardie del Corpo Forestale dello Stato in servizio presso le stazioni di Edolo.
I chirotteri sono comunemente conosciuti come pipistrelli, probabilmente dal latino vespertīliō-ōnis, a sua volta derivato da vesper-is, ovvero sera.
In tutto il mondo se ne conoscono oltre 1300 specie, delle quali 33 presenti in Italia, che rappresentano un terzo delle specie di mammiferi selvatici terrestri italiani e, in molti ecosistemi, rivestono l’insostituibile ruolo di principali predatori notturni di insetti. Questi piccoli mammiferi sono un capolavoro dell’evoluzione: sono gli unici a poter sfruttare il cielo notturno grazie alle loro ali sottili e a potersi muovere nel buio più completo grazie ad un sofisticato “sonar”. L’unica eccezione è costituita dalle volpi volanti (il nome comune della famiglia degli Pteropodidi), pipistrelli di grandi dimensioni (pesano dai 20 ai 1500 g) dalle abitudini diurne o crepuscolari che vivono in Asia, Africa e Oceania e che si nutrono di frutta e nettare. Negli ecosistemi rivestono l’insostituibile ruolo di principali predatori notturni di insetti.
Purtroppo, numerose specie di pipistrello sono a rischio di estinzione. Le cause sono diverse, dalla distruzione dei siti di rifugio, al massiccio impiego di pesticidi in agricoltura: tutte provocate, direttamente o indirettamente, dall’uomo.
A ciò si aggiunga la persecuzione diretta da parte dell’uomo, che spesso uccide o allontana dai rifugi i pipistrelli perché li reputa erroneamente pericolosi o dannosi.
A tal proposito, occorre ricordare che i nostri pipistrelli sono esseri innocui, non si impigliano ai capelli e non succhiano il sangue (sono solo tre le specie di pipistrello ematofaghe, vivono in Centro-Sud America e si nutrono praticando minuscoli tagli sulla pelle di altri animali). I pipistrelli presenti nel nostro continente sono tutti di piccole dimensioni (pesano dai 3,5 ai 50 g) e si nutrono di insetti ricoprendo quindi un ruolo molto importante negli ecosistemi in cui vivono aiutando a mantenere in equilibrio le popolazioni di insetti, evitando che alcune proliferino oltre misura (pensiamo alle fastidiose zanzare…). Il loro guano, inoltre, considerato a torto trasmettitore di infezioni, è ricco di fosfati e quindi un eccellente fertilizzante. A differenza di quanto si crede comunemente i pipistrelli non sono ciechi, ma possiedono occhi ben adattati a vedere in condizioni di scarsa illuminazione.
Il senso più importante per i pipistrelli è però l’udito: questi animali si muovono e cacciano nel buio più completo attraverso l’uso di un sofisticato “biosonar”. Emettono infatti ultrasuoni, suoni con frequenze superiori a quelle captate dall’orecchio umano (>20 kHz), il cui eco di ritorno, captato con le grandi orecchie, viene costantemente analizzato e forma nella loro mente una immagine “sonora” dettagliata dell’ambiente che li circonda. Il padiglione auricolare può essere più o meno sviluppato, fino a raggiungere le dimensioni dell’intero corpo dell’animale (come ad esempio nel genere Plecotus) e può essere considerato come un grande recettore di suoni. Per poter captare al meglio gli ultrasuoni emessi, un pipistrello può muovere il padiglione auricolare volontariamente ed indipendentemente dai due lati. L’orecchio esterno di molti pipistrelli è formato anche da un trago, una piccola struttura di cartilagine che si trova proprio di fronte al padiglione auricolare e che aiuta gli animali a capire da dove proviene un suono. La forma e le dimensioni del trago e del padiglione auricolare di ciascuna specie sono molto diverse e sono usate, insieme ad altri caratteri, per l’identificazione delle diverse specie.
Gli ultrasuoni servono principalmente per muoversi e cacciare nel buio e le loro caratteristiche dipendono soprattutto dall’ambiente in cui l’animale è solito muoversi (es. il folto del bosco o campi aperti), dall’attività che sta svolgendo in quel momento (es. orientamento o caccia) e dalla specie di appartenenza.
Esistono degli strumenti particolari che permettono di sentire gli ultrasuoni emessi dai pipistrelli: sono dei rilevatori di ultrasuoni, più conosciuti come “bat detector”. Questi strumenti consentono, grazie ad uno speciale microfono sensibile alle alte frequenze, di captare gli ultrasuoni e di renderli udibili, grazie ad un sistema che li abbassa a delle frequenze che anche noi umani possiamo percepire.
Mediante il rilevamento di ultrasuoni (monitoraggio bioacustico) è possibile contattare la maggior parte delle specie, sebbene alcune, quali gli orecchioni (genere Plecotus) e i Rinolofidi, emettano segnali difficili da captare con un bat detector. Gli orecchioni usano infatti degli ultrasuoni particolarmente deboli, che sono quindi difficilmente percepibili se non si è a pochi metri dall’animale. I Rinolofidi, invece, con il loro sofisticato sonar, sono difficili da rilevare con il bat detector perché emettono ultrasuoni molto direzionali, difficili da captare se non ci si trova lungo la traiettoria del suono, e con una frequenza alta, che si diffonde a distanze limitate nell’aria.
Attraverso lo studio dei paramtrei degli ultrasuoni registrati è possibile determinare la specie o il gruppo di specie a cui appartiene l’animale che ha emesso l’ultrasuono. Non sempre infatti si può risalire alla specie di appartenenza, perché le caratteristiche di ciascun ultrasuono dipendono anche dall’ambiente in cui l’animale è solito muoversi e dall’attività che sta svolgendo in quel momento. Specie diverse possono quindi usare ultrasuoni simili, rendendo a volte difficile o impossibile la loro determinazione con l’uso di un bat detector.